Materiali alternativi alla plastica: come riciclarli

Abbiamo visto come la plastica monouso avrà vita breve. Sempre più comuni ed esercizi commerciali stanno diventando gradualmente “Plastic Free” per poter ridurre con il tempo le quantità di plastiche e microplastiche che negli ultimi decenni sono sempre più presenti nel mare, danneggiando gli animali e le piante degli ecosistemi che li abitano e non per ultimi noi esseri umani che ci nutriamo di animali marini.

La difficoltà di questi ultimi anni è stata la ricerca di materiali che posseggano le caratteristiche della plastica (versatilità, leggerezza, altamente resistente agli stress chimico-fisici e che possegga ottime proprietà di barriera per i gas) ma che abbiano di decomposizione molto più rapidi. Questo problema è stato ed è affrontato specialmente dalle aziende coinvolte alla produzione di rifiuti plastici, che in modo diretto o indiretto, devono modificare le loro linee di produzione.

Come citato nello scorso articolo, già si stanno pensando ad alcuni possibili materiali alternativi ed alcuni di questi sono già in commercio. Iniziamo a conoscerli meglio, per capire anche come dovremo gettarli nei rifiuti.

Le bioplastiche da gettare nell’umido

La polpa di cellulosa, il PLA (acido polilattico, adatto per liquidi freddi), il CPLA (adatto per liquidi caldi) il polilattato (un polimero derivato dal mais) l’amido di patata, la bioplastica brevettata Mater-bi (che usiamo per la frutta e la verdura) la bagassa, l’amido di mais rientrano in questo gruppo. Sono materiali simili alla plastica, ma sono biodegradabili in tempi brevi ( per decomporsi occorre solo qualche mese in compostaggio rispetto ai mille anni richiesti dalle plastiche derivate dal petrolio).

Questi ed altri materiali sono e saranno usati per piatti, stoviglie, sacchetti e molto altro, poiché la loro base di partenza saranno materiali rinnovabili di origine vegetale. In particolare, il Pla deriva dall’impiego di scarti vegetali sella radice non commestibile del tubero selvatico cassava amara, così da non incidere sulle scorte alimentari. I sacchetti di amido di mais sono già molto utilizzati come sacchetti del supermercato (diventati obbligatori in Italia dopo la direttiva Europea del 2018) ed una volta danneggiati, possono essere gettati nell’umido. Tutti questi prodotti potranno essere gettati nell’umido poiché recheranno la scritta “compostabile” o “biodegradabile”, la scritta dello standard Europeo “EN13432” ed un marchio di un ente certificatore.

Si stanno maggiormente focalizzando le ricerche su questi tipi di materiali, sia per il basso impatto ambientale sia per poter recuperare materiali che altrimenti diventerebbero scarti, come per il caso del progetto “Leguval” una pellicola realizzata dagli scarti dei legumi.

Piatti e posate da gettare nella carta

Esistono già in commercio piatti e posate di carta e cartoncino che possono essere riciclati e che, anche se fossero dispersi nell’ambiente sarebbero biodegradabili (si disintegrano in meno di 3 mesi). Rientrano in questo gruppo anche piatti e posate in carta riciclata. Li riconosciamo poiché recano l’immagine del Nastro di Moebius, composto da un’unica freccia allungata, ritorta di centottanta gradi per formare un triangolo, con un numero interno che può essere 20, 21 o 22, 23 e 39. Questo simbolo, presente anche su imballaggi di carta e cartone, può indicare sia che il prodotto è formato da carta riciclata, sia che il prodotto o la sua confezione è riciclabile.

Ricordiamo infatti che conviene sempre optare per la carta riciclata rispetto alla carta ex novo: per produrre una tonnellata di carta come materia prima, occorrono circa 15 alberi, 440 mila litri d’acqua e 7600 kwh di energia elettrica, mentre invece produrre una tonnellata di carta partendo da materiale riciclato non è abbattuto nessun albero, ma occorrono 1800 litri d’acqua e 2700 kwh di energia elettrica.

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